Jafor Islam (VOA) [Public domain], via Wikimedia Commons

Esiste un popolo fantasma in Myanmar (Birmania), una minoranza di religione musulmana a cui è stata revocata per legge la cittadinanza, un popolo perseguitato dal governo militare birmano: è il popolo dei rohingya. Rappresentano il 4% della popolazione, circa due milioni di persone e vivono prevalentemente nello stato del Rakhine, nella parte occidentale del paese, ma secondo la legge sulla cittadinanza del Myanmar, risalente al 1982, i Rohingya non fanno parte delle 135 etnie riconosciute dallo Stato. Sono rare le notizie sulle TV occidentali e nei nostri TG che raccontano lo strazio, la miseria e la povertà in cui queste persone sono ridotte a vivere. Non possono prendere la cittadinanza, non è consentito loro di viaggiare senza uno speciale permesso, di possedere terreni e sono tenuti a firmare un impegno a non avere più di due figli. Dall’inizio delle repressioni del 2016/2017 oltre 700mila sono stati costretti a fuggire dalle loro terre, a causa di continui attacchi dell’esercito birmano e degli estremisti buddisti. Sono stati sfrattati brutalmente dalle loro case, poi bruciate, sono stati distrutti i loro negozi, devastati i loro campi. La maggior parte di loro oggi vive in campi profughi oltre il confine con il Bangladesh, ovviamente anche qui non sono i benvenuti e non trovano l’accoglienza necessaria, anche per via delle limitate risorse finanziarie del paese. Altri, una minoranza, circa 150mila, sono rimasti in Myanmar, nella periferia di Sittwe, la capitale del Rakhine, confinati in baraccopoli e controllati attentamente dalla polizia. Questi insediamenti non sono altro che prigioni a cielo aperto dove i rohingya sono privati dei loro diritti, come spostarsi e lavorare. Soffrono la fame, non possono lavorare, coltivare, e commerciare prodotti, sono prigionieri a casa loro, dove una volta musulmani e buddisti convivevano pacificamente. Secondo le Nazioni Unite sono “una delle minoranze più perseguitate nel mondo” e “il popolo meno voluto al mondo”.

Autore – Mauro Libardoni