La cucina bellunese presenta delle connotazioni piuttosto variegate, caratterizzata dal connubio tra cultura montana – marcatamente presente l’influenza ladina e quella germanica nella parte più settentrionale della provincia – e cultura veneziana, la cui eredità trasmessa nei secoli è piuttosto evidente a livello di paesaggio culturale, ambiente nel quale la cuisine populaire incontra la sua collocazione più logica e naturale.

Oltre che dalla geografia, la cucina bellunese è influenzata dalla storia, storia intesa come susseguirsi di tragici avvenimenti, storia meramente intesa come tempo. Agli odierni fast-food, kebabbari, take-away, dove lo spesso insano cibo non ha nemmeno il tempo di cuocersi, si contrappone sul territorio una cucina figlia dell’an de la fam – anno della fame – termine con cui si indica l’interminabile 1918, che rievoca la Grande Guerra e la febbre spagnola, tempi di fame e di malattia, tempi di sofferenza e di morte. Nelle valli del Feltrino, dell’Agordino, così come negli altipiani del Cansiglio e di Lamon, per decenni è rimasto vivo nelle menti (e nei corpi) di generazioni e generazioni il lacerante lascito del conflitto mondiale, che sembrava non finire mai; ancora oggi nel bellunese è ben comune il detto “essere lungo come l’anno della fame” nel riferirsi a persone particolarmente lente a svolgere un’azione.

E lento è il cucinare in Val Belluna. Le zuppe di legumi e gli stufati di selvaggina interminabilmente cucinati a fuoco lento la domenica mattina, il baccalà con la polenta pazientemente preparata e mescolata nella caliera (il tipico paiolo in rame in cui si cuoce la polenta – rigorosamente di mais sponcio).

Espressione culinaria di tempo è la stagionatura; in questo caso non mancano importanti esempi. La carne de fea fumegada (carne di pecora affumicata) necessita di molte settimane di macerazione e stagionatura per diventare la “cugina bellunese” della più famosa carne salada delle valli trentine, la prima ottenuta evidentemente da carni ovine, la seconda da carni principalmente bovine. La carne di pecora affumicata, tipica del feltrino e più specificatamente delle zone di Arsiè, Sovramonte e Lamon, si differenzia inoltre per non essere soltanto un salume da gustare crudo o a mo’ di carpaccio, ma può essere cotta alla griglia o in padella con vino, olio e classiche erbe officinali. L’indicazione è quella di non cuocere troppo a lungo la carne – all’incirca 5-6 minuti – al fine di preservarne l’intenso sapore e la particolare morbidezza.

L’accompagnamento più calzante è il famoso fagiolo di Lamon, che non necessita di particolari descrizioni, in quanto conosciuto ed esportato a livello globale. Qualcosa di più ricercato e prezioso è il fagiolo gialletto, un legume tondeggiante e tenerissimo dalle antiche origini, che ben si addice come contorno di piatti sostanziosi, semplicemente lesso ed “arricchito” da un filo d’olio e cipolla.

Il salame bellunese è un salume ben stagionato dal diametro poco generoso. Viene spesso tagliato a fette piuttosto larghe, passato in padella e sfumato con l’aceto; è la tipica sopresa co l’aséo (salame con l’aceto). La salsiccia più amata dai bellunesi prende il nome di pastin. È meno stagionata del salame bellunese e presenta un diametro ben maggiore; viene anch’essa consumata a fette e cotta alla griglia o in padella come fosse un hamburger. Accompagna la vita dei bellunesi nelle feste e nelle sagre primaverili, nelle grigliate d’agosto e nei sostanziosi e caldi pranzi invernali. Data la sua forma e la sua notevole consumazione adatta ad ogni evenienza, la possiamo definire un vero salume “a tutto tondo”.

La pastorizia ha da sempre rappresentato una costante di rilievo sul territorio della Provincia di Belluno. Ne consegue un numero particolarmente elevato di formaggi autoctoni, tra i quali spicca il noto schiz, formaggio vaccino il cui nome deriva dal metodo di preparazione del prodotto, che prevede la schiacciatura (in dialetto schizàda) della cagliata, al fine di ottenere una pasta compatta dal sapore delicato e dolce. Lo schiz gode di grande versatilità in cucinae viene servito in svariati modi: rosolato in padella (talvolta anche insieme a uova) o cotto in un tegame con latte o panna per preparare un robusto secondo piatto, al posto della ricotta per comporre sfiziosi dolci a base di frutta (strudel di mele, ciambella di pere e schiz).

Così come il passato ha lasciato tracce indelebili nella cucina bellunese, il presente cerca di ritagliarsi un ruolo da protagonista nel quadro della gastronomia locale, e lo fa unendosi alla tradizione; il birramisù è una moderna rivisitazione del classico tiramisù all’italiana e quello originale può essere gustato solamente presso la Birreria Pedavena, la birreria più antica d’Italia. All’interno di un bicchiere di birra si stende un letto di biscotto, sul quale si adagia una densa ed invitante colata di mascarpone e panna con zabaione aromatizzato alla birra, coperta da una nobile spolverata di cacao. Al dolce dello zucchero fa da contraltare l’amaro del luppolo, combinazione che risulta sorprendente al palato e che al tempo stesso incuriosisce ed invita a ricercare ulteriori sfumature di gusto della bizzarra composizione.

Un territorio che dall’Ampezzano al Grappa, dal Cadore al Piave orgogliosamente ha scritto libri di storia e rappresenta una destinazione di indubbio interesse turistico, tanto da guadagnare considerazione dalle più autorevoli guide e riviste turistiche, non può esimersi dal dover occupare un posto di assoluto rilievo nelle pagine dei manuali di cucina, senza imbarazzo.

Autore: Marco Zanella

Foto dal web