Scrivere di cucina siciliana è un onere tanto gradevole quanto gravoso. Approcciarsi a un mondo così vasto e variegato, richiede parecchia dedizione e pazienza. Si rischierebbe altrimenti di non rendere giustizia alle prelibatezze di una terra visceralmente variegata nella propria natura o, peggio ancora, di scadere nella banalità facendo riferimento ai soliti prodotti che tutti conoscono.
Va detto anzitutto che la cucina siciliana, è l’esatto riflesso della sua storia e della sua cultura. È per definizione semplice e articolata, povera ma abbondante, il trionfo dei contrasti e del miscuglio di mille dominazioni che si sono susseguite nei secoli. Basti pensare alle arancine. Soggetto al centro perenne di battaglie circa il genere da assegnare a questa prelibatezza, che riesce a conquisatre tutti i palati (arancina o arancino?). La Crusca ha decretato che sarebbe più opportuno usare la declinazione al femminile, con buona pace degli amici catanesi. Tuttavia, sarebbe sciocco soffermarsi su questo punto poiché, quello che conta davvero, è che siano buone.
Colui che scrive, oltretutto, proviene dalla provincia di Caltanissetta, quindi ha sempre assistito da deliziato spettatore a questa guerra inestinguibile, apprezzando tanto le arancine palermitane quanto gli arancini di Catania.
Questo preludio, in ogni caso, per dire come l’arancina stessa sia metafora di quella cucina figlia della Trinacria. Un involucro croccante che racchiude la morbidezza del riso, per esplodere infine nel trionfo del ragù. Riassunto migliore non potrebbe esserci.
D’altronde, come dicevamo poc’anzi, la Sicilia è stata per gran parte della sua storia territorio di dominazioni e ogni popolo ha lasciato la propria impronta, tanto nell’architettura quanto nella gastronomia. Basti pensare al couscous trapanese o a quello di Lampedusa, apprezzato in tutto il mondo e celebrato ogni anno da un festival che attira migliaia e migliaia di turisti.
Si prosegue poi con la granita, originaria del messinese dall’incontro fresco tra ghiaccio, limone e l’immancabile brioscia col tuppo. Una squisitezza che è possibile gustare in milioni di varianti per accompagnare la colazione o la merenda.
Che dire poi degli spaghetti allo scoglio? Il mix perfetto tra mare e terra. Melanzane, pomodoro e pesce spada. Il paradiso della bocca e dei sensi.
Andiamo avanti con le specialità catanesi. Su tutte le schiacciate e i prodotti da forno come i calzoni ripieni.
Non si può non fare una citazione al pane con le panelle: la tipica rosetta farcita con queste deliziose fettine di pasta di ceci fritte nell’olio bollente. La paternità di questo piatto va però al capoluogo siciliano.
Immancabile a ogni celebrazione sono senza dubbio lo sfincione palermitano e i cartocci ripieni. I cannoli, un involucro di pasta fritta nello strutto e ripieno di ricotta dolce, ricoperto poi di granella di pistacchio e canditi. E poi lei, la regina dei dolci: la cassata. Con i suoi strati di pan di spagna e ricotta.
Fiore all’occhiello della pasticceria sicula sono inoltre le paste di mandorla e pistacchio, gustabili tutto l’anno nelle forme e nei colori più disparati.
Quando si pensa alla Sicilia è inevitabile pensare al caldo torrido e alle spiagge meravigliose, dimenticando quasi per riflesso spontaneo il vastissimo ed eterogeneo entroterra. Associamo sovente le fritture, i gustosi piatti a base di pesce e carne alla costa, ma non dobbiamo dimenticare le verdure e i legumi.
La provincia di Caltanissetta è un territorio prevalentemente rurale, fatto di paesini incastonati sulle colline di granturco. Di queste zone è tipico un prodotto forse sconosciuto ai più, ma incredibilmente buono: le muffulette. Si tratta di una sorta di panini conditi con semi di finocchio che possono essere imbottiti con olio, sale, acciughe ma anche da ricotta e miele nella versione dolce. Si mangiano per San Martino, accompagnate dal vino novello.
Oltre alle muffulette, vale la pena prestare la propria attenzione a un prodotto che potremmo definire come le tenere attenzioni di una nonna nei confronti dei propri nipotini, in quanto a genuinità e bontà. Si tratta della Cuccìa. La cuccìa è una zuppa a base di frumento, tipica della tradizione contadina e viene generalmente consumata per Santa Lucia. È molto diffusa la variante dolce (soprattutto nelle zone di Siracusa), ma il sottoscritto l’ha sempre degustata nella variante salata.
La sua preparazione è un processo lungo tre giorni che segue pochi semplici regole, e solo due ingredienti: grano e acqua. Dopodiché, si possono aggiungere aromi e condimenti a piacimento. Tipici sono l’olio, il sale e l’alloro.
Si inizia l’11 Dicembre, lavando il frumento e mettendolo in ammollo con acqua tiepida.
Giorno 12 Dicembre: si cambia l’acqua e, verso le ore 11:00, si porta a ebollizione. Quando poi il frumento è diventato morbido, lo si lascia riposare in pentola per 20 minuti a fuoco spento. Essenziale è riporre il tegame (rigorosamente di terracotta) in un luogo asciutto e coprirlo con una coperta di lana fino alle ore 17:00. Si scalda poi prima di metterla a tavola.
Si otterrà quindi un composto morbido e omogeneo, che potrà essere servito accompagnato da pane tostato.
Il nostro viaggio potrebbe continuare in eterno tra mille prelibatezze, ma in attesa che tornino tempi migliori, lasciamo a voi lettori il piacere di scoprire quelle assaggiate finora.
Autore – Martin Lo Iacono